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Calcio
Il Bari cola a picco. Ora il baratro è di nuovo a un passo
I biancorossi crollano anche a Venezia. Dall’anonimato all’incubo: salvare la categoria non è scontato
Bari - lunedì 11 marzo 2024
7.48
Il copione di un film già visto, e pedissequamente reinterpretato. Una pellicola dell'orrore, costantemente mandata indietro come una specie di contrappasso per i tifosi biancorossi, condannati a espiare non si sa bene quale colpa originaria. Il Bari cola a picco: 3-1 al Penzo, galletti che crollano sotto i colpi di un Venezia più squadra, con più qualità. C'è un abisso tra le due avversarie che si affrontano sul terreno bagnato, in riva alla laguna. La rotondità del risultato solo parzialmente restituisce la dimensione di un divario incolmabile, e che adesso condanna il Bari a rivedere le streghe.
I biancorossi si ritrovano di nuovo al 15mo posto, con appena quattro punti di vantaggio sul baratro dei playout, ancora una volta a un passo. Di fatto, dopo sei partite della gestione di Beppe Iachini, il Bari si è esattamente lì dove lo aveva lasciato Marino, al termine della sua umbratile esperienza. Quale ammaestramento, quindi, si può trarre da questo fatto, che costituisce un'evidenza incontrovertibile? Semplice: si può arrivare anche a cambiare dieci allenatori, ma questa squadra presenta dei limiti che sembrano incolmabili. Innanzitutto, dal punto di vista tecnico, ma anche (e soprattutto) dal punto di vista caratteriale.
Due goal presi nel primo quarto d'ora, di fatto, orientano la patita nella direzione del Venezia. E sarebbe anche superfluo sottolineare che le reti siglate da Gytkaer e Altare arrivano praticamente in fotocopia, sullo stesso schema da calcio d'angolo che la fase difensiva dei galletti non riesce a leggere, a codificare e a disinnescare. Nel modo in cui si sviluppa il doppio vantaggio degli arancioneroverdi c'è tutta la natura diabolica e demoniaca del perseverare nell'errore, un fardello che grava sulle spalle di un Bari bravissimo nella poco invidiabile arte dell'autosabotaggio.
Iachini, dalla sua, sottolinea la reazione della squadra, e fa bene; la buona notizia arriva dal goal di Puscas, ben costruito sull'asse con Ricci. Ma c'è da chiedersi perché il Bari si svegli solo dopo aver preso uno o più schiaffi. La risposta, giova ripeterlo, sta nell'impreparazione caratteriale della squadra, incapace di calarsi nelle partite con il giusto nervo e la giusta concentrazione. Va bene la reazione, però è tutto il resto che manca, anche a esito di una ricerca lunga ed estenuante.
Sembrerà ormai un fatto quasi secondario, ma va cionondimeno evidenziato l'aspetto tattico, altrettanto insufficiente. Il 3-4-1-2 laborioso messo in campo da Iachini richiede una fatica titanica a una squadra in grossa difficoltà anche nell'applicare i concetti più semplici. Il Bari subisce tanto in una fase difensiva a cui Dorval e Ricci partecipano con grande apprensione, anche a causa di un centrocampo dove due soli elementi (e tra Lulic ed Edjouma cambia davvero poco) si trovano spesso e volentieri col fiato corto davanti all'inferiorità numerica. Anche la soluzione del doppio centravanti, con Puscas e Nasti, convince fino a un certo punto: gli attaccanti non tengono palla, non fanno salire la squadra. Le cose interessanti (non poche, per carità, ma neanche abbastanza) viste dalla seconda metà della prima frazione in poi provengono più da iniziative estemporanee che da manovre organizzate. Quando il Bari abbassa la testa e viene avanti, con la pancia e con i nervi, crea più di un pericolo dalle parti di Joronen; ma la concretezza è un'altra cosa. Vedere l'incredibile occasione fallita da Puscas, per eccesso di altruismo, nella ripresa.
Il semplice fatto che il mister si concentri spesso e volentieri sulla reazione, e non sull'azione, della squadra la dice lunga su tutto l'ampio corollario di inadeguatezze della rosa, e anche sui cervellotici esperimenti messi inutilmente in atto per far tornare i conti. Quando, sotto di un goal e con il bisogno di recuperare, finisci schierando due esterni (Morachioli e Kallon) come punte centrali, allora lì emergono con la massima chiarezza non solo lo stato di confusione generale nello staff tecnico e nella squadra, ma anche le leggerezze commesse ab origine dalla dirigenza e dalla proprietà. Nel giorno in cui l'ex Folorunsho segna il goal vittoria a Lecce ed esulta mimando la cresta del galletto, osservare il tracollo tecnico e morale di questo Bari non può che acuire quel senso di perdita e di vertigine che sorge spontaneo nel paragone con la miracolosa, esaltante e tragica a un tempo, stagione appena trascorsa.
Ma questi, ormai, sono discorsi che lasciano il tempo che trovano; a fine campionato bisognerà tirare la riga e, con grande onestà, riflettere su tutto l'ampio spettro di leggerezze e superficialità colpevolmente commesse. L'aspetto "positivo" della sconfitta di Venezia (la quarta consecutiva in trasferta, di cui tre sotto la gestione Iachini) risiede nello svelamento: parlare di playoff è un inutile esercizio di retorica, senza alcun senso. E non tanto perché la distanza sia incolmabile (tre punti appena, pur con sette squadre nel mezzo), o perché la concorrenza sia particolarmente agguerrita e continua. No, i playoff sono ormai un chimerico orizzonte solo perché il Bari continua a fallire prove d'appello ed esami di riparazione; e le restanti nove partite difficilmente potranno invertire quella rotta orientata al colare a picco già intuita da Mignani, l'unico che fin qui ha avuto (purtroppo per lui e per tutti gli altri) ragione.
Ora c'è da stringere i denti, indossare armatura ed elmetto, e mettere in salvo quello che si può salvare. Chi, a oggi, volesse firmare con il sangue per garantirsi il 15mo posto e la linea di galleggiamento, non farebbe un investimento sbagliato. Sabato prossimo, contro la Sampdoria al San Nicola, toccherà fare punti in qualsiasi modo lecito, onde evitare di trasformare una stagione anonima e incolore in un incubo da teatro dell'assurdo. Almeno questo la squadra, il club e la proprietà lo devono ai tifosi, anche ieri in 800 a Venezia, sotto un diluvio che è metafora quantomai calzante di una stagione da archiviare quanto prima, sperando almeno di salvare la categoria. Un obiettivo che, a oggi, appare tutto meno che garantito.
I biancorossi si ritrovano di nuovo al 15mo posto, con appena quattro punti di vantaggio sul baratro dei playout, ancora una volta a un passo. Di fatto, dopo sei partite della gestione di Beppe Iachini, il Bari si è esattamente lì dove lo aveva lasciato Marino, al termine della sua umbratile esperienza. Quale ammaestramento, quindi, si può trarre da questo fatto, che costituisce un'evidenza incontrovertibile? Semplice: si può arrivare anche a cambiare dieci allenatori, ma questa squadra presenta dei limiti che sembrano incolmabili. Innanzitutto, dal punto di vista tecnico, ma anche (e soprattutto) dal punto di vista caratteriale.
Due goal presi nel primo quarto d'ora, di fatto, orientano la patita nella direzione del Venezia. E sarebbe anche superfluo sottolineare che le reti siglate da Gytkaer e Altare arrivano praticamente in fotocopia, sullo stesso schema da calcio d'angolo che la fase difensiva dei galletti non riesce a leggere, a codificare e a disinnescare. Nel modo in cui si sviluppa il doppio vantaggio degli arancioneroverdi c'è tutta la natura diabolica e demoniaca del perseverare nell'errore, un fardello che grava sulle spalle di un Bari bravissimo nella poco invidiabile arte dell'autosabotaggio.
Iachini, dalla sua, sottolinea la reazione della squadra, e fa bene; la buona notizia arriva dal goal di Puscas, ben costruito sull'asse con Ricci. Ma c'è da chiedersi perché il Bari si svegli solo dopo aver preso uno o più schiaffi. La risposta, giova ripeterlo, sta nell'impreparazione caratteriale della squadra, incapace di calarsi nelle partite con il giusto nervo e la giusta concentrazione. Va bene la reazione, però è tutto il resto che manca, anche a esito di una ricerca lunga ed estenuante.
Sembrerà ormai un fatto quasi secondario, ma va cionondimeno evidenziato l'aspetto tattico, altrettanto insufficiente. Il 3-4-1-2 laborioso messo in campo da Iachini richiede una fatica titanica a una squadra in grossa difficoltà anche nell'applicare i concetti più semplici. Il Bari subisce tanto in una fase difensiva a cui Dorval e Ricci partecipano con grande apprensione, anche a causa di un centrocampo dove due soli elementi (e tra Lulic ed Edjouma cambia davvero poco) si trovano spesso e volentieri col fiato corto davanti all'inferiorità numerica. Anche la soluzione del doppio centravanti, con Puscas e Nasti, convince fino a un certo punto: gli attaccanti non tengono palla, non fanno salire la squadra. Le cose interessanti (non poche, per carità, ma neanche abbastanza) viste dalla seconda metà della prima frazione in poi provengono più da iniziative estemporanee che da manovre organizzate. Quando il Bari abbassa la testa e viene avanti, con la pancia e con i nervi, crea più di un pericolo dalle parti di Joronen; ma la concretezza è un'altra cosa. Vedere l'incredibile occasione fallita da Puscas, per eccesso di altruismo, nella ripresa.
Il semplice fatto che il mister si concentri spesso e volentieri sulla reazione, e non sull'azione, della squadra la dice lunga su tutto l'ampio corollario di inadeguatezze della rosa, e anche sui cervellotici esperimenti messi inutilmente in atto per far tornare i conti. Quando, sotto di un goal e con il bisogno di recuperare, finisci schierando due esterni (Morachioli e Kallon) come punte centrali, allora lì emergono con la massima chiarezza non solo lo stato di confusione generale nello staff tecnico e nella squadra, ma anche le leggerezze commesse ab origine dalla dirigenza e dalla proprietà. Nel giorno in cui l'ex Folorunsho segna il goal vittoria a Lecce ed esulta mimando la cresta del galletto, osservare il tracollo tecnico e morale di questo Bari non può che acuire quel senso di perdita e di vertigine che sorge spontaneo nel paragone con la miracolosa, esaltante e tragica a un tempo, stagione appena trascorsa.
Ma questi, ormai, sono discorsi che lasciano il tempo che trovano; a fine campionato bisognerà tirare la riga e, con grande onestà, riflettere su tutto l'ampio spettro di leggerezze e superficialità colpevolmente commesse. L'aspetto "positivo" della sconfitta di Venezia (la quarta consecutiva in trasferta, di cui tre sotto la gestione Iachini) risiede nello svelamento: parlare di playoff è un inutile esercizio di retorica, senza alcun senso. E non tanto perché la distanza sia incolmabile (tre punti appena, pur con sette squadre nel mezzo), o perché la concorrenza sia particolarmente agguerrita e continua. No, i playoff sono ormai un chimerico orizzonte solo perché il Bari continua a fallire prove d'appello ed esami di riparazione; e le restanti nove partite difficilmente potranno invertire quella rotta orientata al colare a picco già intuita da Mignani, l'unico che fin qui ha avuto (purtroppo per lui e per tutti gli altri) ragione.
Ora c'è da stringere i denti, indossare armatura ed elmetto, e mettere in salvo quello che si può salvare. Chi, a oggi, volesse firmare con il sangue per garantirsi il 15mo posto e la linea di galleggiamento, non farebbe un investimento sbagliato. Sabato prossimo, contro la Sampdoria al San Nicola, toccherà fare punti in qualsiasi modo lecito, onde evitare di trasformare una stagione anonima e incolore in un incubo da teatro dell'assurdo. Almeno questo la squadra, il club e la proprietà lo devono ai tifosi, anche ieri in 800 a Venezia, sotto un diluvio che è metafora quantomai calzante di una stagione da archiviare quanto prima, sperando almeno di salvare la categoria. Un obiettivo che, a oggi, appare tutto meno che garantito.

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