lecco bari. <span>Foto Ssc Bari</span>
lecco bari. Foto Ssc Bari
Calcio

Bari a picco. Il baratro è a un passo

Tracollo biancorosso, la tifoseria tumultua. Squadra in ritiro: servirà a ritrovare la fame?

Il Bari cade a picco, e si trova ad appena due punti dalla zona playout. La sconfitta 1-0 sul campo del Lecco ha, fin dal fischio finale, assunto i contorni di una Caporetto a rischio di lasciare strascichi e ferite nel tessuto connettivo di una squadra già provato da insuccesso e frustrazione.

Ma quella di Lecco appare una scivolata più grave delle altre, e non solo perché arriva subito dopo i tre schiaffi presi dal Venezia in casa. La sensazione è di una squadra completamente in ambasce, con ancora meno idee rispetto al recente passato. Di fatto, dopo i primi timidi progressi, la gestione Marino non ha portato al Bari quella svolta auspicata con l'esonero di Mignani, che pur senza brillare aveva tenuto la barra più o meno dritta, quantomeno limitando al minimo indispensabile le sconfitte.

Se il 61enne siciliano era stato preso per portare a Bari il suo credo, fatto di pressing alto e dominio del campo con gioco e possesso palla, allora è evidente che qualcosa è andata storta. Un fatto reso evidente dalla continua ricerca del modulo giusto per una squadra costruita senza un particolare criterio tattico. A Lecco il mister ritorna al 4-3-3, ma dopo un approccio quasi incoraggiante, almeno in fase di interdizione della manovra avversaria, le sparute offensive biancorosse si esauriscono, e il Bari finisce nel solito imbuto della inconcludenza cronica.

Un solo tiro in porta, contro quella che - con tutto il rispetto - non è una corazzata. Troppo poco, davvero meno del minimo sindacale. All'incapacità di fare gioco, manifestata dallo spaiamento di Benali davanti alla difesa, dalla frenesia di Acampora e dall'evanescenza del fantasma del vero Maita, si aggiungono la regressione di Nasti e i limiti palesati da Achik, che non può essere ovviamente la panacea universale. Di fatto, l'unico che ci prova è Sibilli, o con qualche azione personale o con i soliti tiri da lontanissimo; se l'ex Pisa non pesca il jolly della domenica, il Bari non ha un "piano B". Risultato? Il portiere dei manzoniani Saracco si sporca i guanti solo per l'ordinaria amministrazione.

Non che, per carità, Brenno debba fare chissà che, però… Al 70' il fattaccio, arrivato anche in circostanze sfortunate (a conferma della legge di Murphy, per cui se una cosa può andar male allora andrà male): Novakovich salta in testa a Dorval (in enorme difficoltà, come Ricci dall'altra parte) lì dove avrebbe dovuto esserci Di Cesare (fermo a bordo campo), il portiere brasiliano non la blocca e la respinge sui piedi di Buso, che a porta sguarnita mette dentro il pallone del ko.



E qui emerge l'altro, ancora più grave, limite di questa squadra, che è di natura mentale. Il Bari si squaglia alla prima difficoltà, denunciando non solo un ritardo fisico e tecnico imbarazzante a inizio dicembre, ma soprattutto una mancanza di personalità che non ci si aspetta da gente esperta e navigata come i vari Acampora, Benali, Diaw, Aramu (un corpo estraneo in una squadra che di per sé non gira) e compagnia. I galletti appaiono piatti e molli nelle gambe e nella testa, completamente incapaci di prendere in mano il proprio destino, consegnandosi agli eventi con mani e piedi legati.

E ora? Ritiro sia. Da ieri sera la squadra e lo staff tecnico-dirigenziale si sono chiusi nelle segrete stanze, alla ricerca di un'anima e di uno spirito che consentano ai biancorossi di venir via dalle sabbie mobili. La storia, però, ci dice che i ritiri curano il sintomo, non la malattia. Però magari stavolta andrà diversamente, almeno la speranza è rimasta gratis. Polito si è preso tutte le responsabilità, seguendo il copione molto chiaro che si applica a queste circostanze. Un atto, però, che smentisce tutte le scelte fatte sul mercato, così come la presunta superiorità di questa squadra rispetto a quella dell'anno scorso. L'aspetto più preoccupante è stato sottolineato dal diesse nel passaggio in cui ha parlato di una squadra «Senza fame»; un requisito fondamentale per sgomitare nella zona playoff (obiettivo dichiarato da De Laurentiis in estate, e ora un miraggio), ma ancora di più per andare a fare la lotta nel fango della zona retrocessione. Un obiettivo, la salvezza, per cui il Bari non è stato costruito, e che potrebbe anche rivelarsi una trappola pericolosissima, se non si interviene subito e con misure speciali.

Servirà il ritiro? Difficile dirlo oggi; bisognerà aspettare almeno sabato, quando al San Nicola arriverà il Sudtirol per un vero e proprio spareggio ad altissima tensione. Di certo, a ora, c'è solo una cosa: gli 853 tifosi biancorossi arrivati al Rigamonti-Ceppi, in riva al Lario, chiedono a gran voce alla proprietà De Laurentiis di passare la mano e togliere il disturbo. Un fatto senza precedenti, che manifesta la frattura ormai totale tra Bari, il Bari e la famiglia proprietaria del club. Un salto indietro nel tempo di circa quindici anni, a cui si poteva evitare di giungere con qualche sforzo in più.

Passare dal sogno serie A perso per due minuti alla lotta nei quartieri meno nobili della classifica nel giro di sei mesi è un boccone davvero troppo amare da mandare giù. Una stagione paradossale, quella '22/'23, che ha dato all'attuale proprietà l'impressione di poter - come regola generale - ambire al piatto grosso senza spendere. Certo, chi investe molto non è detto che vinca, però chi non investe certamente ha molte meno possibilità di successo. La "gestione" imprenditoriale del De Laurentiis ha le sue logiche e le sue finalità, che vanno benissimo per mandare avanti l'azienda e tenerla sempre sana, però non possono scaldare il cuore dei tifosi, che (giustamente) aspettavano un rilancio deciso verso il traguardo promozione. E le parole pronunciate a luglio da Luigi De Laurentiis («Le cessioni di Caprile e Cheddira andranno a costituire ulteriore budget per il mercato») non hanno contribuito a realizzare il "match" tra intenzioni e fatti.

Di fatto, di qui a gennaio bisogna stringere i denti e sperare in bene. Poi toccherà al mercato, dove più che riparare bisognerà rifondare una squadra apparsa senza anima e senza idee. Il baratro è lì a un passo, e le storie recenti di Benevento, Spal e Perugia raccontano che chi non è abituato a spingere con le gambe fa fatica a emergere dalle sabbie mobili. Sarebbe davvero un peccato macchiare la (felice ed entusiasmante, va ricordato e detto con chiarezza) esperienza dei De Laurentiis a Bari per un banale errore di calcolo.

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