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Scuola e Lavoro

Gli studi del Politecnico di Bari sul Consumo di suolo in Puglia

Il progetto Mito (Multimedia Information for Territorial Object) e le sperimentazioni in laboratorio

In occasione della Giornata Mondiale del Suolo, martedì 5 dicembre presso l'Aula Magna del Dipartimento di Scienze dell'Ingegneria Civile e dell'Architettura è stato presentato il primo Rapporto sul Consumo di suolo in Puglia grazie agli studi di ricerca condotti dal Politecnico di Bari nell'ambito del progetto Mito (Multimedia Information for Territorial Object), finanziato dal Piano di Azione per la Coesione del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca. Grazie al progetto Mito è stato possibile realizzare strutture di ricerca come ad esempio un laboratorio dedicato ad analisi di carattere territoriale, dall'ambiente al patrimonio immobiliare e ai fenomeni sociali, coinvolgendo giovani laureati, laureandi e dottori di ricerca che hanno contribuito a produrre il primo rapporto regionale, unico caso-studio in Italia, dedicato al consumo del suolo del territorio pugliese e in collaborazione con il Centro di Ricerca sui consumi di suolo dell'INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), sui dati forniti dall'agenzia regionale Innovapuglia.

Il professor Carmelo M. Torre, responsabile del Progetto ci racconta: «Abbiamo utilizzato una parte dei fondi per cominciare a fare delle sperimentazioni e in accordo con l'INU, abbiamo adottato il modello già consolidato per i rapporti nazionali, adattandolo al nostro territorio. La novità più grossa è che per ogni comune e per ambiti territoriali più ampi diamo le percentuali delle del territorio occupato da industrie, infrastrutture o che è ritornato in condizioni naturali. Questo permette di comprendere meglio le dinamiche territoriali. Il suolo agricolo che si trasforma in fotovoltaico è diverso dal suolo che si trasforma in una piattaforma artificiale, perché il rapporto tra il fotovoltaico e il cemento con il suolo agricolo è diverso. Quindi non basta sapere che in alcuni comuni è diminuito il territorio coltivato, bisogna capire se poi questo territorio non più coltivato, si è trasformato in territorio che è irrimediabilmente artificializzato».

Le ricerche condotte hanno consentito di esaminare diversi casi. Lo studio ha diviso la Puglia in 11 contesti territoriali da nord a sud. In generale il maggior consumo di suolo si registra sulle aree costiere ed in alcune principali città.

Restringendoci invece alla città di Bari?

«Bari non ha avuto un grandissimo aumento del consumo di suolo. Sono stati realizzati degli accordi di programma facendo attenzione a non andare in suoli vergini. IKEA ad esempio è stato realizzato dove erano presenti degli edifici abbandonati. Probabilmente - continua il prof. Torre - fino a quando non ci sarà una normativa o un piano urbanistico generale più moderno, andremo avanti riutilizzando quello che c'è. Il caso più grosso è l'area ASI (Area Sviluppo Industriale) tra Bari e Modugno dove ci sono dei capannoni completamente abbandonati, alcuni sono stati anche demoliti».

Ritornando al progetto Mito, come hanno interagito i giovani laureati, laureandi e dottori di ricerca?

«Un gruppo di docenti oltre me, sono stati coinvolti in vario modo. I dottorandi hanno collaborato con uno spin-off di agraria per la redazione, da un punto di vista territoriale, della costruzione di indicatori per la valutazione ambientale strategica del piano di sviluppo rurale regionale. Molte tesi di laurea sono state sviluppate in laboratorio dove i laureandi hanno svolto analisi dei dati sull'impatto del mercato immobiliare e in termini di consumo di suolo di alcune trasformazioni, indagando se quello che si dice corrisponde con la realtà oggettiva. In laboratorio abbiamo anche fatto degli studi sul recupero degli spazi abbandonati di alcuni comuni come Acquaviva e San Vito dei Normanni utilizzando delle applicazioni. Attraverso una convenzione gratuita con il comune di Trani faremo una mappa per l'accessibilità rivolta a coloro che hanno abilità motorie differenti e questo è un esperimento. Quindi tentiamo di mappare e soprattutto ragioniamo sul fatto che i dati devono essere pubblici. Esistono moltissime fonti ma non le utilizziamo perché non le conosciamo e molte sono via web e costruite dal basso».


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