Omicidio per vendetta a Gioia del Colle. Cinque arresti, tre sono di Bari
Cosimo Meligrana sarebbe stato ucciso dal clan Di Cosola per vendicare una rapina e la gambizzazione ai danni di un narcotrafficante
venerdì 17 ottobre 2025
23.12
Un omicidio eseguito con una maschera teatrale in silicone, sette colpi esplosi in una sala slot e un regolamento di conti maturato in una vera guerra di mafia. A nove anni dai fatti, i Carabinieri del Comando Provinciale di Bari hanno eseguito una misura cautelare nei confronti di cinque persone, di cui tre del capoluogo.
In manette sono finiti Giuseppe Cacucci, 31enne di Bari, indicato come esecutore materiale, Vito Monno (47), Amilcare Monti Condesnitt (57), Antonio Saponaro (45) e Ottavio Di Cillo (45). Per i primi quattro le accuse riguardano i reati di omicidio e di tentato omicidio aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa, nonché dalla premeditazione; a Di Cillo è contestata la rapina ai danni dello stesso Monti, narcotrafficante di spicco, considerata il vero innesco della vendetta mafiosa.
L'ordinanza, emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Alfredo Ferraro, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Giannella, è il risultato di una complessa indagine del Nucleo Investigativo dell'Arma. I fatti risalgono al 19 febbraio 2016, a Gioia del Colle, quando in una sala slot, Cosimo Meligrana fu ucciso con almeno sette colpi di pistola calibro 9x21 da un killer travisato con una maschera in silicone.
Secondo l'impianto accusatorio, il movente è duplice. Da un lato la vendetta di Monti, ferito e derubato della sua pistola calibro 357 da Meligrana e Di Cillo alcuni mesi prima. Dall'altro la promessa di «un borsone di armi, droga e denaro» offerta da Monti a un gruppo di affiliati del clan Di Cosola - tra cui Cacucci e Saponaro - in cambio dell'eliminazione di Meligrana. Quelle armi servivano per alimentare la guerra di mala al rione San Pio di Bari, in contrapposizione al clan Strisciuglio.
La ricostruzione individua due fasi: un primo tentativo di agguato il 18 febbraio 2016, fallito a causa di un incidente stradale del commando, e l'omicidio il giorno successivo all'interno della sala giochi. Cacucci avrebbe agito da solo a bordo di una Hyundai rubata, travisato da una maschera; Monno avrebbe partecipato al primo tentativo; Saponaro avrebbe contribuito alla distruzione dell'arma usata, tagliata con un flessibile; Monti, infine, è ritenuto mandante e fornitore di logistica.
Il giudice sottolinea che l'omicidio fu «pienamente mafioso»: plateale, progettato, con dei ruoli definiti, finalizzato non solo alla vendetta ma anche ad affermare il potere sul territorio. Sono indagati, invece, i vari Giuseppe Pappagallo, Nicola Lorusso e Massimiliano Cosimo Marco Zingaropoli, tutti collaboratori di giustizia.
In manette sono finiti Giuseppe Cacucci, 31enne di Bari, indicato come esecutore materiale, Vito Monno (47), Amilcare Monti Condesnitt (57), Antonio Saponaro (45) e Ottavio Di Cillo (45). Per i primi quattro le accuse riguardano i reati di omicidio e di tentato omicidio aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa, nonché dalla premeditazione; a Di Cillo è contestata la rapina ai danni dello stesso Monti, narcotrafficante di spicco, considerata il vero innesco della vendetta mafiosa.
L'ordinanza, emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Alfredo Ferraro, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Giannella, è il risultato di una complessa indagine del Nucleo Investigativo dell'Arma. I fatti risalgono al 19 febbraio 2016, a Gioia del Colle, quando in una sala slot, Cosimo Meligrana fu ucciso con almeno sette colpi di pistola calibro 9x21 da un killer travisato con una maschera in silicone.
Secondo l'impianto accusatorio, il movente è duplice. Da un lato la vendetta di Monti, ferito e derubato della sua pistola calibro 357 da Meligrana e Di Cillo alcuni mesi prima. Dall'altro la promessa di «un borsone di armi, droga e denaro» offerta da Monti a un gruppo di affiliati del clan Di Cosola - tra cui Cacucci e Saponaro - in cambio dell'eliminazione di Meligrana. Quelle armi servivano per alimentare la guerra di mala al rione San Pio di Bari, in contrapposizione al clan Strisciuglio.
La ricostruzione individua due fasi: un primo tentativo di agguato il 18 febbraio 2016, fallito a causa di un incidente stradale del commando, e l'omicidio il giorno successivo all'interno della sala giochi. Cacucci avrebbe agito da solo a bordo di una Hyundai rubata, travisato da una maschera; Monno avrebbe partecipato al primo tentativo; Saponaro avrebbe contribuito alla distruzione dell'arma usata, tagliata con un flessibile; Monti, infine, è ritenuto mandante e fornitore di logistica.
Il giudice sottolinea che l'omicidio fu «pienamente mafioso»: plateale, progettato, con dei ruoli definiti, finalizzato non solo alla vendetta ma anche ad affermare il potere sul territorio. Sono indagati, invece, i vari Giuseppe Pappagallo, Nicola Lorusso e Massimiliano Cosimo Marco Zingaropoli, tutti collaboratori di giustizia.