Bari, Salvini sul palco inneggia alla legittima difesa e rischia una denuncia

Il ministro: «Se fai il rapinatore ti prendi i rischi del mestiere» e la difesa all'attuale segretario provinciale della Lega, Balducci

venerdì 22 febbraio 2019 16.17
A cura di Elga Montani
«Se fai il rapinatore ti prendi i rischi del tuo mestiere» e «Nella nostra legge è previsto per i suoi poveri parenti rimborso zero», sono solo alcune delle frasi pronunciate dal ministro Matteo Salvini sul palco di Bari martedì scorso, nel comizio in favore del candidato sindaco del partito Fabio Romito. Parole con cui Salvini ha illustrato alla folla presente la sua idea di legittima difesa, prendendo anche le parti del segretario provinciale della Lega presente con lui su quel palco, Enrico Balducci. Parole che ora lo espongono al rischio di una querela.

Il motivo risale indietro nel tempo al 2010, quando Balducci era titolare a Palo del Colle di una stazione di servizio Tamoil. E una sera di giugno, all'interno della stessa, l'uomo ferì con un colpo di pistola un ragazzo, Giacomo Buonamico, barese di 23 anni, che insieme a Donato Cassano, allora 24enne, a bordo di una moto, si presume avessero tentato una rapina con una pistola giocattolo. Buonamico morì quella stessa sera a causa delle ferite riportate. Balducci fu condannato in via definitiva per l'accaduto a 3 anni e 8 mesi per omicidio preterintenzionale, e la famiglia di Buonamico ottenne un risarcimento di 90mila euro.

I genitori del ragazzo non ci stanno, però, a sentire quelle parole proferite dal ministro. Da anni lottano per veder riconosciuto il fatto che loro figlio non fosse un rapinatore, e sostengono che essendo rimasto ucciso non abbia mai potuto difendersi dalle accuse. «Abbiamo dato ampio mandato ai nostri legali di fiducia Saverio Fragassi e Danilo Penna, il primo in sede civile e l'altro in sede penale - dichiarano Onofrio Buonamico e Antonia Valerio, genitori del ragazzo - perché possano individuare se nelle parole dell'onorevole Salvini ci siano state violazioni di legge, perseguibili ai soli fini della tutela della immagine della nostra famiglia e del decoro e dell'onore del nostro caro defunto. Non c'è alcun rispetto nei confronti dei nostri sentimenti di pietà e dolore».