Vaccini, il governo impugna la legge della Regione Puglia

Il consiglio dei ministri dice no all'obbligo per gli operatori sanitari, gruppo Pd: «D'ora in poi chi tace è complice»

domenica 5 agosto 2018
È scontro a viso aperto sui vaccini, sia a livello nazionale, che regionale. E se l'ordine dei medici italiani e di Bari si espone contro l'emendamento approvato dal governo che proroga di un anno obbligatorietà, in Puglia si lotta per la legge approvata a giugno in consiglio relativa all'obbligo per gli operatori sanitari. Il consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Puglia n. 27 del 19/06/2018 recante "Disposizioni per l'esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori sanitari".

«La legge in oggetto – si può leggere nelle motivazioni - imponendo obblighi di vaccinazione, eccede dalle competenze regionali e interviene in un ambito nel quale sono prevalenti gli aspetti ascrivibili ai principi fondamentali in materia di tutela della salute e di profilassi internazionale, riservati alle competenze legislative dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, comma terzo, e comma secondo, lettera q, della Costituzione, ledendo altresì il principio di eguaglianza, nonché il principio della riserva di legge in materia di trattamenti sanitari di cui agli artt. 3 e 32 della Costituzione».

Diverse sono state le reazioni a tale scelta. Dura quella dei consiglieri di area PD del consiglio regionale, Amati, Mennea, Pentassuglia e Blasi: «D'ora in poi sui vaccini chi tace è complice. Deve diventare la battaglia dei medici, dei giuristi e dei politici avveduti contro gli aguzzini del popolo. Per questo invitiamo gli ordini dei medici, degli avvocati e le diverse società scientifiche a prendere posizione contro l'ignobile proroga dell'entrata in vigore dell'obbligo vaccinale e l'impugnazione della legge pugliese sulle vaccinazioni degli operatori sanitari»

«Non si può tacere o far finta di niente - rimarcano i consiglieri regionali pugliesi - anche perché è una violenza fuori misura, inflitta al popolo quella che, in nome di un malinteso senso della libertà, riduce la politica di prevenzione su malattie note, nelle stesse ore in cui nei laboratori universitari si studiano le nuove e gravi malattie portate da nuovi e pericolosissimi vettori animali».